14/11/2011

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C’è molta gente, la piazza lentamente si è riempita, per metà sono nati in italia per metà altrove, ma sono due metà che convivono fianco a fianco, niente gruppi o capannelli, molti sono da soli, qualcuno in coppia. Negli sguardi di tutti, una domanda inespressa, uno stupore doloroso, una ferita che aspetta una risposta. Parlano uno dopo l’altro, le prime parole che ascolto sono di ringraziamento e mi procurano un senso di forte straniamento. Ringraziano gli italiani, che per la grande maggioranza sono lì e non sono come il pazzo che ieri ha ucciso due persone soltanto per il colore della loro pelle. Penso che vorrei tanto crederci e mi dico che sì, forse non sono proprio come quello lì, che ha agito una pulsione di annullamento che diventa omicidio, ma sono intrisi, contaminati, immersi in quella cultura che a quella azione, a quella pazzia ha dato la carica come a un pupazzo a molla. Parla qualcun altro e le prime parole sono bellissime. Nella lingua senegalese non esiste la parola straniero, esiste solo la parola ospite. Penso ai giapponesi, che non hanno nel vocabolario la parola trasgressione e per un’attimo mi sembra che la lingua sia una chiave perfetta per capire una cultura. Nessuno è straniero al mondo. La voce continua e parla dei compagni senegalesi, nostri ospiti e che in passato abbiamo trattato fin troppo male, parla degli appartamenti affittati in nero a quindici, venti persone ammassate, delle ronde antiabusivi volute dal comune, del rispetto che si deve all’uomo prima che alla legge. E’ il capo dei carabinieri che parla, e mi stupisco ancora una volta di sentire in bocca a chi rappresenta una istituzione militare storicamente vicina ai regimi parole come i nostri compagni senegalesi. Ma sbaglio io, perché anche lui è un uomo, prima del rappresentante di una istituzione. Poi arrivano loro. Li vedo da lontano, riconoscendoli per come si muovono più e prima che per il resto. Capelli corti, robusti, l’aria strafottente di chi non è lì per ascoltare. La donna col microfono sta parlando dell’uomo che ieri ha provocato tutto questo e uno di loro urla “Era solo un fascio!”, e anche questa è violenza. si dividono a gruppi di tre e si incuneano tra la folla, tenendosi continuamente in contatto con gli occhi. Poi sul palco arriva il loro capo e parla di responsabilità politiche, fa i nomi delle associazioni neofasciste che l’uomo di ieri frequentava e dalla claque partono applausi e urla, qualcuno lo prega di andarsene, non siamo lì per questo, a malincuore lascia il microfono e dalla solita claque parte una specie di motto imparato a memoria. Non ricordo cosa dicesse ma non ha importanza. Perché a quel punto se ne sono andati, indifferenti al motivo per cui noi tutti eravamo lì. Casapound o CPA è la stessa roba, quando diventa ideologia, quando porta a un “noi e loro”, quando passa avanti all’essere umano allora diventa la stessa merda che ha portato noi tutti ad essere qui oggi, perché un pazzo ha smesso di vedere uomini e donne ma ha cominciato a dividere il mondo in bianchi e neri. In senegalese la parola straniero non esiste, prendiamo esempio e cominciamo a cancellarla dai vocabolari, rifiutiamola.