Matti

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Qualche giorno fa sono finalmente riuscito a partecipare ad una delle passeggiate organizzate da Chille de la Balanza all'interno dell'ex manicomio di San Salvi, luogo tra i più belli e pieni di memoria di Firenze. Tra le molte suggestioni ed emozioni, due in particolare. Tre diverse lettere, scritte da due diversi internati in periodi storici assai distanti. Due di queste lettere narrano la metamorfosi di Giacomo Tarantini, quella normale e ragionevole scritta prima della "cura" a base di elettroshock e reclusione nel sesto reparto uomini, e quella scritta dopo, quando ormai gli avevano fatto entrare dentro a forza le acca, ed era diventato Giachomho Vhon Taranthinhi, come racconta Ladoratrice.

L'altra lettera, però, è quella che mi ha colpito di più, grazie alla succitata Ladoratrice e ai suoi riflessi ferini posso oggi riportarla per intero. 

Eccola:

"Alcuni di noi spesso si trovano in manicomio perché la società non ha nervi abbastanza saldi per sopportarci.

Perciò prima sarebbe necessario curare la società alla quale ci dovremmo nuovamente inserire.

Un lavoro non regolarmente rapportato alle capacità fisiche e intellettuali di un individuo, credo che influisce molto negativamente sulla sua salute.

Un lavoro mal retribuito credo lo avvilisce e lo umilia e le arreca sempre danno alla salute e all'equilibrio mentale.

Un ambiente dove un ex ricoverato viene guardato o trattato (a volte sfottuto) come un essere diverso, non è abbastanza adatto.

La libertà è soggetta a limiti di usi e di costumi, ma molto di più è soggetta alle capacità finanziarie."

Angelo.

In quello che scrive Angelo la pazzia non si vede, ma i manicomi erano, e potrebbero essere di nuovo, luoghi in cui seppellire chi non fa comodo, per questioni di eredità, di convenienza o per motivi politici. A Volterra esisteva addirittura un reparto anarchici, come se l'anarchia fosse di per sé segno certo di squilibrio mentale, e a chi pensa che oggi questo non potrebbe succedere più consiglio la lettura di questo articolo sull'uso politico del TSO a Genova durante il G8. Il manicomio era un luogo in cui si perdeva ogni diritto, si diveniva meno che umani, oggetti da archiviare, in attesa dell'unica liberazione possibile, la morte. Dal manicomio infatti non si usciva, mai, nemmeno con le parole e, infatti, la corrispondenza in entrata ed in uscita dal carcere era semplicemente soppressa. Occorre preservare la memoria di ciò che è stato, perché la memoria dell'orrore è l'unico modo per essere certi che quell'orrore non torni.