Non è nemmeno il volo di un moscone.

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Torno sui miei passi, annuso, guardo le parole. Cos'è che volevo scrivere? Ho una idea in testa, ma mi accorgo di aver detto tanto, forse troppo, senza struttura, e che quello che per me era il nucleo del discorso si è perso nel mezzo, senza un seguito. Libertà è essere sani e felici. E credo occorre un po' di spiegazione, specie sull'ultima parte , che la felicità è spesso considerata un accessorio, una cosa che ci può essere o non essere nella vita, tanto non succede niente, non è mica indispensabile, essere infelici non impedisce di crescere, vivere, andare a lavorare. E invece secondo me è l'unica cosa importante, l'unica domanda da farsi e fare di continuo. Sei felice? Lo sei? Lo sono? Occorre essere sani, perché la malattia, in particolare la malattia del pensiero, è una gabbia, una limitazione. Felici, perché anche l'infelicità è una gabbia. Ma le gabbie non sono un destino ineluttabile, non sono ermetiche. Malattia e infelicità sono più simili a nasse, quelle ceste che usano i pescatori, calandole su fondo. I pesci entrano facilmente, ma poi non sanno più trovare l'uscita, che c'è, esiste, è sempre stata lì, ma per vederla occorre uno scatto, un pensiero diverso che la renda visibile. Come al luna park, nel labirinto di specchi, che restavi a girare finché qualcosa nella testa scattava e vedevi l'uscita, chiarissima, al punto da chiederti come avessi fatto a non vederla prima.