Radio Italia

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L'altra sera, seduto nel taxi che mi portava in giro a risolvere l'ennesima bega di una settimana infernale, mi è capitato di ascoltare alla radio una di quelle cose che si chiamano canzoni d'amore, ma alle quali andrebbe trovato un nome diverso, canzoni dell'angoscia forse, della nostalgia, non saprei. La cantante rimarcava quanto stesse male adesso, come fosse sola e come, invece, un tempo il suo perduto amore le dicesse cose dolcissime eccetera eccetera. Una brutta canzone scritta da parolieri svogliati e composta sul solito trito giro in chiave minore, giusto per dare l'idea della tristezza. Niente su cui soffermarsi. Eppure la cosa mi ha fatto riflettere sul tempo e sulla visione del mondo sottesa ad una cultura in cui l'amore è cantato, spesso e volentieri, come rimpianto o, peggio ancora, come speranza che ciò che è stato torni ad essere di nuovo. Mi ha riportato alla mente una discussione iniziata ad una cena qualche mese fa ed immediatamente abortita anche per una mia stupida ostilità preconcetta. E tuttavia il germe di quella discussione ha evidentemente continuato a lavorare, in questi mesi. Si parlava del tempo ed il mio interlocutore aveva affermato una cosa molto semplice. Il tempo è lineare. Che si potrebbe migliorare in "Il tempo dell'uomo è lineare", per evitare quelle diatribe cosmologiche con le quali avevo immediatamente azzoppato l'argomento. Si nasce, si vive, si muore, semplice. Anche percorrendo la stessa strada ogni giorno, la strada è sempre diversa, diversi sono gli incontri che facciamo, diversi soprattutto siamo noi, da un giorno all'altro, diversi i pensieri che ci animano, diverso l'umore che ci muove il passo in una specie di danza o ce lo fa trascinare stancamente. Non si percorre mai due volte lo stesso cammino e, se anche provassimo a camminare in cerchio, ci troveremmo a percorrere una spirale logaritmica. Eppure la nostra cultura ci propone uno sguardo perennemente girato all'indietro, alla nostra infanzia, ai momenti felici, a quello che è stato mentre si occupa pochissimo del futuro, di quello che sarà e che è infinitamente più importante. Una idea folle di un tempo circolare, in cui alla fine del cammino ci sia ad attenderci quello che avevamo lasciato. Ma il tempo non è circolare, e infatti posso ripescare nella memoria la bistecca dell'altra sera, ma se sono le due ed ho fame, il ricordo non me la fa passare. Molto meglio preoccuparsi di mettere in tavola qualcosa. Ecco, mi piacerebbe sentire una canzone così, alla radio, una che parli della trepidazione nell'attesa del futuro amore, che non rinneghi il passato, che non cada nella trappola di pensare che ciò che non è vero oggi non fosse vero ieri, ma anche senza alcun rimpianto, che parli della bellezza di ciò che è stato solo per chiedersi quanto sarà bello quello che verrà. Per una volta, sarebbe una sorpresa.